LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE Ha emesso la seguente sentenza sull'appello n. 548/11, depositato il 25 gennaio 2011, avverso la sentenza n. 76/03/2010, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; Contro: Ag. Entrate Direzione provinciale 1 di Milano, proposto dal ricorrente: Meliorfactor S.p.a., L.R. Tarquinii Pasquale, Via Gaetano Negri 10 - 20123 Milano, difeso da: Verna Giuseppe presso Studio Verna-Vaglieri-Restelli C.so Di Porta Vittoria 18 - 20122 Milano. Atti impugnati: silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2004; silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2005; silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2006; silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2007. Ordinanza sul ricorso in appello del dottor Giuseppe Verna, difensore della societa' Meliorfactor S.p.a., con sede in Milano, Via Borromei n. 5, cod. fisc. 03330280961, elettivamente domiciliata - 20122 in Milano, Corso Italia n. 6, presso lo studio Verna societa' professionale di S. Vaglieri, G. Vema. S. Verna, dottori commercialisti, e della Dottoressa Restelli ragionere commercialista, societa' semplice, come da procura speciale alle liti apposta in calce al ricorso introduttivo 20 marzo 2009, conferita per ogni ordine e grado del presente processo tributario. Contro Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale 1 di Milano. Per la riforma della sentenza n. 76 in data 22 febbraio 2010, depositata in data il 26 febbraio 2010, emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Milano Sez. 3 - Rimborso IRES - anno d'imposta 2004, 2005 e 2006, con richiesta di dubbi di legittimita' costituzionalita' della indeducibilita' dell'IRAP dall'imponibile IRES - sfavorevole al contribuente. Visto il ricorso in appello; Visti gli atti tutti di causa; Udito, nella pubblica udienza del giorno 7 ottobre 2011, il relatore Dott. Vaifro Piacentini. Udito, per la societa' appellante, il Dottor Verna Giuseppe; Udito, per l'Agenzia appellata, il dott. Fabio Bopri; Fatto e svolgimento del processo 1. - Con domanda presentata il 26 novembre 2008 la Meliorfactor spa di Milano chiedeva all'Agenzia delle entrate di Milano 1 il rimborso di IRES per € 51.554, pagata per i periodi d'imposta 2004 - 2006. Sosteneva la Societa' che detto importo non era dovuto in quanto, prima, aveva dedotto interamente il costo del lavoro dal reddito d'impresa e, poi, lo aveva dovuto riprendere a tassazione nella misura del 5,25% a causa dell'indeducibilita' dell'IRAP, disposta dall'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446 del 1997. Tale indeducibilita', secondo la circostanziata esposizione dell'istante. doveva ritenersi in contrasto con i principi di uguaglianza, di capacita' contributiva e di tutela del lavoro e quindi con gli articoli 3, 53 e 35 Cost. 2. - A seguito del silenzio-rifiuto alla restituzione dell'imposta, frapposto dall'Agenzia delle entrate, il 20 marzo 2009 la Meliofactor presentava ricorso alla Commissione provinciale di h/filano, sviluppando gli stessi motivi esposti nella domanda avanzata in via amministrativa; concludeva chiedendo il rimborso di € 51.554 oltre interessi, «previa rimessione degli atti alla Corte costituzionale ed accoglimento del dubbio di costituzionalita' dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446/1997 per contrasto con gli artt. 3, comma 1 e 53, comma 1, Cost., nella misura in cui la norma porti alla parziale indeducibilita' di costi che sono invece deducibili ai fini dell'imposta personale sul reddito d'impresa, nonche' con l'art. 35 Cost., nella misura in cui la norma costituisca un ostacolo all'impiego del lavoro quale fattore di produzione». Nell'atto di costituzione in giudizio del 18 novembre 2009 l'Agenzia resistente, senza contestare i dati numerici indicati dalla ricorrente, spiegava le modalita' per richiedere il rimborso dell'IRES calcolata sul 10% dell'IRAP pagata per gli anni 2004-2006, in ottemperanza all'art. 6 d.l. 29 novembre 2008, n. 185, conv. con legge 28 gennaio 2009, n. 2, ed affermava che l'unico effetto dell'istanza di rimborso, presentata dal ricorrente il 28 novembre 2008, era «quello di fissare a tale data il termine di 48 mesi utili per richiedere il rimborso ai sensi dell'art. 38 d.P.R. n. 602/73». La Meliofactor con memoria del 28 gennaio 2010 affermava che la nuova norma non aveva sopito i dubbi di costituzionalita' in quanto il criterio forfetario di deduzione in tanto poteva essere ammesso quale espressione di discrezionalita' del legislatore, in quanto il forfait adottato non si fosse discostato in misura rilevante dalla realta' che si voleva rappresentare. Ribadiva quindi la domanda presentata nel ricorso, dato che il dubbio di costituzionalita' dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446/1997, era rimasto anche dopo la parziale modifica introdotta con il d.l. n. 185. 3. - La Commissione provinciale respingeva il ricorso, condannando la Meliofactor al pagamento delle spese di soccombenza, liquidate in € 2000, sulla base di cinque motivi. Per maggiore chiarezza di esposizione, i suddetti motivi sono qui indicati ponendo di seguito, in sintesi, le contestazioni mosse nell'appello. I. «La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446/97, sollevata nel ricorso, deve ritenersi superata per effetto della novella normativa introdotta con l'art. 6, d.l. n. 185/08» Secondo la Meliorfactor la deduzione forfetaria, successivamente disposta dal legislatore, e' disposizione anch'essa di dubbia costituzionalita' che da' luogo ad un rimborso inferiore alla deduzione analitica. II. «La Corte cost., in ragione dell'intervenuto mutamento della disciplina, ha disposto la restituzione degli atti alle Commissioni Tributarie rimettenti, perche' operino una nuova valutazione della rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione». Osserva l'appellante che e' prassi della Corte costituzionale, in presenza di una norma sopravvenuta, rimettere gli atti ai giudici rimettenti per una nuova valutazione ed una eventuale nuova trasmissione a se stessa, salvo che la questione sia manifestamente infondata, nel qual caso dichiara subito tale infondatezza. III. «I dubbi proposti dal ricorrente con riferimento al d.l. n. 185/2008 integrano una questione nuova e diversa, e le relative doglianze costituiscono nuovi motivi di ricorso, la cui proposizione non e' consentita dalla vigente disciplina del contenzioso tributario». Osserva la Meliofactor che le modifiche apportate dalla nuova legge sono invocate dal Giudice per dare torto al contribuente, ma assurdamente questi non potrebbe censurarle sul piano costituzionale perche' cosi' facendo introdurrebbe una domanda nuova. IV. «Secondo costante giurisprudenza costituzionale individuazione degli oneri deducibili e dei singoli fatti espressivi della capacita' contributiva, nonche' la definizione del regime giuridico tributario del fatto assunto come presupposto dell'imposizione rientrano nella discrezionalita' del legislatore». Ribatte la Meliofactor che «mai la Corte costituzionale ha affermato che, nella determinazione del reddito imponibile, il legislatore puo' non riconoscere la deducibilita' di un fattore essenziale per la produzione del reddito stesso, salva la necessita' di evitare possibili evasioni fiscali o la deduzione di spese anche solo in parte non inerenti, cosa che non si verifica per il costo del lavoro.». V. «Il criterio della deducibilita' riconosciuta in via forfettaria non puo' ritenersi ne' irragionevole, ne' suscettibile di dare adito a disparita' di trattamento». L'appellante cita quattro pronunce della Corte costituzionale secondo cui la determinazione forfettaria e' legittima, ma deve avere un collegamento sufficientemente rappresentativo con la realta' che con il forfait si vuole rappresentare. L'Agenzia, costituitasi in questo grado di giudizio, ha incentrato la sua replica principalmente su tre argomenti: I) la Corte costituzionale ha gia' dichiarato infondato i dubbi con le ordinanze n. 258 del luglio 2009 e n. 242 dell'agosto 2010; II) il legislatore gode di' ampia discrezionalita' nel determinare i costi deducibili; III) le imposte sono di norma sempre indeducibili. Ha chiesto quindi che la domanda fosse dichiarata infondata con vittoria di spese. Ha ribattuto l'appellante che le due ordinanze hanno dichiarato inammissibili e non infondati i dubbi di costituzionalita' in quanto i giudici rimettenti non avevano esaminato se i dubbi persistevano o no dopo l'entrata in vigore del rimborso forfettario; che la discrezionalita' del legislatore e' ampia nell'individuare il presupposto d'imposta, meno ampia nell'individuare i costi indeducibili una volta che ha stabilito quale sia il presupposto d'imposta; che tutte le imposte, che non gravino sul reddito o che non ne sia prevista la rivalsa, sono deducibili ai sensi dell'art. 99, comma 1, del testo unico. Concludeva l'appellante con un'ampia memoria illustrativa, allegando sei ordinanze di Commissioni tributarie che si erano pronunciate sugli stessi dubbi di costituzionalita' qui sollevati e che avevano rimesso gli atti alla Corte costituzionale ritenendoli non manifestamente infondati e rilevanti nel caso di specie. Nell'udienza di discussione, dopo l'esposizione del relatore, le Parti hanno ribadito le rispettive tesi. Motivi della decisione 1. - Merita innanzi tutto affrontare una possibile preclusione all'esame completo dei dubbi di costituzionalita' sollevati dall'appellante. Pur ritenendo che i dubbi di costituzionalita' della norma che dichiara l'IRAP indeducibile sia nella sua interezza, sia limitatamente alla quota che colpisce le spese per prestazioni di lavoro (e, con riferimento, ad altre societa', gli interessi passivi), possono essere sollevati anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 6, d.l. n. 185/2008, che ha solo attenuato la portata dell'indeducibilita', lasciando inalterati gli eventuali vizi di legittimita' dell'art. 1, d.lgs. n. 546/1997, non c'e' dubbio che il giudice, davanti al quale tali dubbi siano stati sollevati, deve farsi carico di prendere in esame tutte le norme che disciplinano il caso rilevando, anche autonomamente, eventuali dubbi di costituzionalita' (o preclusioni), al di la' delle ristrette prospettazioni delle parti litiganti. La critica mossa dalla Meliorfactor alla nuova norma di deduzione forfetaria non costituisce domanda nuova, giacche' la domanda originaria non e' stata scalfita nel quantum e nella causa; comunque tale critica puo' essere esaminata dal giudice indipendentemente da una richiesta di parte. 2. - Occorre anche, almeno in parte, prescindere dalla richiesta dell'appellante, secondo cui l'esistenza di sei ordinanze di rimessione alla Corte sulla non manifesta infondatezza dell'indeducibilita' dell'IRAP dall'imponibile IRES - limitatamente alle spese per prestazioni di lavoro (e quindi non solo al mero costo di lavoro dipendente) e (tema in questa vertenza non rilevante) agli interessi passivi al netto di quelli attivi, sorretta da copiosa dottrina -costituirebbe per se' oggettivamente situazione sufficiente per ritenere i dubbi non manifestamente infondati. Pur condividendo in larga misura le argomentazioni sviluppate dalle sei ordinanze, che affrontano gli stessi temi dibattuti nella presente causa, e dalla dottrina citata dall'appellante sui dubbi di costituzionalita' dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 546/1997, anche dopo l'introduzione dell'art. 6, d.l. n. 185/2008, che ne ha limitato la portata, questo Giudice ritiene, essendo soggetto solo alla legge, di dovere compiere un'analisi autonoma della disciplina alla luce degli invocati articoli della Costituzione. 3. - Prima di vagliare i dubbi di costituzionalita' con riferimento agli articoli 3, 53 e 35 Cost., questo Giudice deve farsi carico, anche in relazione a temi emersi nel contraddittorio fra le Parti ed esaminati dal Giudice di prima istanza, di affrontare tre questioni. La prima questione verte sulla discrezionalita' del legislatore nel determinare quali costi debbano essere deducibili dal reddito d'impresa e, in generale, quali debbano essere i componenti attivi o passivi di un determinato imponibile. Occorre qui distinguere due fattispecie: quella dell'istituzione di nuovi tributi e quella della determinazione dei componenti positivi e negativi di tributi una volta che essi siano stati istituiti. Nella prima fattispecie il legislatore gode di ampia discrezionalita' nella determinazione dei singoli fatti espressivi di capacita' contributiva, elevati a presupposto del tributo, col solo limite di non sconfinare nell'arbitrio e nell'irragionevolezza. Tuttavia nel caso di specie non si contesta il presupposto istitutivo ne' dell'IRAP, ne' dell'IRES. Nella seconda fattispecie - determinazione degli elementi che concorrono alla formazione della base imponibile di un'imposta di cui sia stato gia' indicato il presupposto - la discrezionalita' del legislatore soffre vincoli maggiori. Egli deve non solo non sconfinare nell'arbitrio o nell'irragionevolezza, ma anche rispettare i limiti impostigli dal «presupposto d'imposta», pena la violazione del principio di capacita' contributiva. In altre parole il legislatore, una volta stabilito che determinati fatti economici sono rivelatori di capacita' contributiva e qualificato i medesimi quali «presupposto d'imposta», peccherebbe di incoerenza e quindi di arbitrarieta' se, sconfessando se stesso, imponesse la costruzione di una base imponibile che si ponesse in contrasto col presupposto d'imposta da lui stesso stabilito. Per scendere nel caso concreto che qui interessa, il legislatore non e' del tutto libero nel determinare quali siano i costi deducibili dall'imponibile IRES, in quanto l'art. 72, d.lgs. n. 917/86, stabilisce che presupposto dell'imposta sul reddito delle societa' e' il possesso di un reddito, piu' precisamente di un «reddito complessivo netto» (art. 75, comma 1). Ne consegue che ,la tassazione (totale o parziale) dei fattori di produzione «costi del lavoro e dei capitali presi a mutuo» puo' essere consentita nel caso dell'IRAP, ma non dell'IRES, rilevando negativamente il fatto che nella determinazione dell'imponibile IRES tali costi sono in prima battuta deducibili per intero e poi, attraverso l'indeducibilita' dell'IRAP, ripresi parzialmente a tassazione. Pertanto il legislatore, una volta individuato nell'esercizio dei suoi poteri discrezionali, senz'arbitrio e irragionevolezza, il presupposto del tributo quale espressione di capacita' contributiva, non puo' smentirsi e quindi travalicare il limite che egli stesso si e' posto. Il legislatore, tuttavia, ha indubbiamente il potere di escludere dalla deduzione alcuni componenti negativi di reddito effettivo; l'indeducibilita', totale o parziale, puo' pero' essere sancita solo nei confronti di costi che presentino elementi di incertezza nell'inerenza o nella determinazione oppure fondati pericoli di coprire l'elusione o l'evasione o quando il loro sostenimento non e' coerente con meritevoli interessi di politica economica. Non puo' mai essere, quindi, dichiarato indeducibile, neanche parzialmente, il costo di un fattore ordinario certo ed essenziale per la produzione del reddito, quali sono le spese per prestazioni di lavoro, pena la violazione (almeno) del principio di capacita' contributiva, dovendo sempre sussistere una ragione, ovvero un rapporto, fra novella ricchezza e prelievo impositivo: pertanto, ai fini dell'imposta personale, puo' e deve essere colpito solo il reddito che sia al netto di tutti i costi certi ed ordinari relativi alla sua produzione. 4. - La seconda questione verte sulla discrezionalita' del legislatore, una volta che ha individuato i componenti attivi e passivi di un imponibile, di stabilirne la tassazione o la deducibilita' in via forfetaria. L'art. 6, d.l. n. 185, ha stabilito che «e' ammesso in deduzione ... un importo pari al 10% dell'IRAP forfetariamente riferita all'imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi passivi e degli oneri assimilati ... ovvero delle spese per il personale dipendente e assimilato». Il legislatore ordinario, quindi, di fronte ai manifestati dubbi di costituzionalita' sull'indeducibilita' dell'IRAP, ha introdotto una norma che si prefigge la deduzione forfettaria dal reddito dell'IRAP pagata sui costi di lavoro dipendente e sugli interessi passivi. La Consulta ha affermato che le presunzioni tributarie non sono affette da «illegittimita' costituzionale, purche' si fondino su ... fatti reali, quand'anche difficilmente accertabili, idonei a conferire all'imposizione una base non fittizia» (sentenza 26 marzo 1980, n. 42), e che esse, «intanto possono legittimamente operare quali rivelatrici di ricchezza in quanto restino collegate in qualche modo a elementi concreti di redditivita' ancorche' di non semplice accertamento. In altri termini, l'applicazione del tributo che ne deriva non puo' riposare su basi del tutto incontrollabili per i fini che si ripropongono, quando non addirittura fittizie» (sent. 11 marzo 1991, n. 103), giacche' «le presunzioni, per potere essere considerate in armonia col principio della capacita' contributiva sancito dall'art. 53 della Costituzione, debbono essere confortate da elementi concreti che le giustifichino razionalmente» (sent. 28 luglio 1976, n. 200), soprattutto quando la presunzione e' assoluta e non ammette quindi prova contraria. La forfetizzazione dei costi, quindi, puo' essere uno strumento per consentire al fisco e al contribuente di accertarli con maggiore correttezza e facilita', nel rispetto del principio di certezza del diritto. Si deduce quindi che la determinazione forfettaria di un reddito imponibile o di un costo deducibile non consente al legislatore di allontanarsi in misura rilevante dalla realta' reddituale. La deduzione dall'imponibile IRES del 10% pagata, quale alternativa alla deduzione del 5,25% delle spese per prestazioni di lavoro, non fondandosi su alcun collegamento aritmetico o logico, diretto o indiretto, sia pur vago, fra deduzione forfetaria e deduzione analitica, non vale a dissipare i suddetti dubbi, ma anzi fa cadere in sospetto di incostituzionalita' anche la norma sopravvenuta. Concludendo sul punto, il forfait operato dal legislatore, anche prescindendo dai limiti quantitativi, pare arbitrario, mancando qualsiasi collegamento con la realta' che si vuole forfetizzare. 5. - La terza questione che deve essere affrontata concerne la deducibilita' di imposte da altre imposte. Il principio generale dell'indeducibilita', affermato dalla Finanza, e' esatto, ma solo per le imposte sul reddito e per le quali e' prevista la rivalsa (art. 99, comma 1, tuir); non riguarda quindi l'IRAP che, come insegna la Corte costituzionale (sent. n. 156/2001), non e' un'imposta sul reddito. Ed infatti, senza l'art. 1 del d.lgs. n. 446 e l'art. 6 del d.l. n. 185, che hanno l'effetto, rispettivamente, di escludere e di limitare la deducibilita' dell'IRAP dal reddito d'impresa, l'IRAP sarebbe deducibile col criterio di cassa. A tale rilevo, gia' evidenziato dall'appellante, si aggiunge un'ulteriore considerazione. A ben vedere il tema dibattuto - in sostanza, e quindi sotto l'aspetto che piu' rileva sul piano costituzionale - non e' la deduzione di una quota di IRAP dal reddito d'impresa, ma di una quota delle spese per prestazioni di lavoro, per cui il problema dell'indeducibilita' delle imposte quale principio generale del nostro sistema si rivela, in questo caso, un falso problema. 6. - Risolte le questioni sopra esposte e quindi eliminati gli ostacoli posti assiomaticamente alla prospettazione di dubbi di costituzionalita' sulla indeducibilita' dell'IRAP per la quota afferente le spese per prestazioni di lavoro, o meglio alla deducibilita' dal reddito d'impresa di tali spese nella loro interezza e non solo nella misura del 94.75%, occorre convenire sulla non manifesta infondatezza dei dubbi su accennati, sollevati dalla Meliorfactor, che questo giudice fa propri. 6.1. Principio di capacita' contributiva. L'art. 53 stabilisce che il concorso dei cittadini alle spese erariali deve avvenire «in ragione» della loro capacita' contributiva; occorre cioe' che sussista una «ragione» o un «rapporto» fra ricchezza, in qualsiasi forma delineata, ed entita' dell'imposta. La capacita' contributiva colpita dalle varie imposte, pur non assumendo univoco valore in ciascuna legge impositiva, deve essere obiettivamente valutabile e determinata attraverso la fissazione del c.d. presupposto d'imposta. Orbene il presupposto dell'IRES e' il possesso di un reddito netto (art. 75, comma 1), ma, a causa dell'indeducibilita' dell'IRAP, netto non e', in quanto viene aumentato del 5,25% (4,9% dal 2008), calcolato su un rilevante fattore della produzione: le spese per prestazioni di lavoro (art. 95 tuir). Tale fattore diventa pertanto deducibile solo nella misura del 94,75% (95,10% a partire dal 2008). L'aumento della base imponibile del reddito d'impresa, in misura pari all'IRAP indeducibile sulle spese per prestazione di lavoro, provoca l'imposizione di una novella ricchezza parzialmente inesistente per l'aggiunta dell'imposta calcolata sul suddetto componente negativo di reddito. Cio' non e' consentito in quanto il legislatore, avendo fissato quale presupposto dell'imposta personale il possesso di un reddito netto, non puo' smentirsi e, disattendendo la ratio del tributo senza un'apprezzabile giustificazione, colpire con quell'imposta un reddito maggiore. 6.2 Principio di uguaglianza. A parita' di reddito imponibile, il diverso peso dell'IRES fra due imprese deve avere una causa ragionevole, altrimenti la diversita' diventa irrazionale. In conseguenza dell'indeducibilita' dell'IRAP, un'impresa, a parita' di reddito imponibile con altre imprese, e' colpita dall'IRES piu' di quelle, se, nella composizione del suo reddito, le spese per prestazioni di lavoro (oltre ai capitali presi a mutuo) concorrono in misura maggiore che in altre; cio' non trova una giustificazione plausibile, ne' nelle norme di legge, ne' nei principi dell'economia, ne' in finalita' politiche incentivanti o disincentivanti. Oltretutto e' irrazionale prima dedurre un costo al 100% e poi aggiungervi il 5,25 (o il 4,9) per cento. 6.3 Principio di tutela del lavoro. L'indeducibilita' dell'IRAP si traduce nella deducibilita' del costo del lavoro limitata al 95,75% (successivamente al 96,1%) e quindi in una penalizzazione nel ricorso al «lavoro» quale fattore di produzione. E' evidente, infatti, che nelle imprese libere di scegliere fra l'impiego di mano d'opera o di robots la deducibilita' del costo del lavoro nella misura del 94,75% fungera' da disincentivo rispetto all'alternativa di una robotizzazione che comporterebbe il sostenimento di costi deducibili al 100% attraverso quote di ammortamento delle immobilizzazioni acquistate. 7. - Lo scioglimento dei dubbi di costituzionalita' si presenta rilevante nella presente causa in quanto, secondo quanto indicato dalla Meliorfactor e non contestato dall'Agenzia, in caso di rimborso analitico del 33% del 5,25% delle spese per prestazioni di lavoro, pagato negli anni 2004-2006, l'importo da rimborsare ascende ad € 51.544, mentre in caso di rimborso forfetario ai sensi del menzionato art. 6, d.l. n. 185, ad € 23.504. E' evidente quindi che lo scioglimento dei dubbi e' pregiudiziale per l'accoglimento della domanda giudiziale. Alla luce delle considerazioni su esposte, questo Collegio ritiene che la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 2, d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, parzialmente modificato dall'art. 6, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2, per contrasto con gli articoli 3, 53 e 35 Cost., non sia manifestamente infondata sia rilevante ai fini della decisione della presente e anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 6 del d.l. 28 novembre 2008, n. 185, convertito in legge n. 2 del 28 gennaio 2009.