LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE 
 
    Ha emesso la seguente sentenza sull'appello n. 548/11, depositato
il 25 gennaio 2011, avverso la sentenza n. 76/03/2010,  emessa  dalla
Commissione tributaria provinciale di Milano; 
    Contro: Ag. Entrate Direzione provinciale 1 di  Milano,  proposto
dal ricorrente: Meliorfactor S.p.a.,  L.R.  Tarquinii  Pasquale,  Via
Gaetano Negri 10 - 20123 Milano, difeso  da:  Verna  Giuseppe  presso
Studio Verna-Vaglieri-Restelli C.so Di  Porta  Vittoria  18  -  20122
Milano. 
    Atti impugnati: 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2004; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2005; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2006; 
        silenzio rifiuto istanza rimb. IRES 2007. 
    Ordinanza sul ricorso  in  appello  del  dottor  Giuseppe  Verna,
difensore della societa' Meliorfactor S.p.a., con sede in Milano, Via
Borromei n. 5, cod. fisc. 03330280961,  elettivamente  domiciliata  -
20122 in Milano, Corso Italia n. 6, presso lo studio  Verna  societa'
professionale  di  S.  Vaglieri,   G.   Vema.   S.   Verna,   dottori
commercialisti, e della Dottoressa Restelli ragionere commercialista,
societa' semplice, come da procura  speciale  alle  liti  apposta  in
calce al ricorso introduttivo  20  marzo  2009,  conferita  per  ogni
ordine e grado del presente processo tributario. 
    Contro Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale 1 di Milano. 
    Per la riforma della sentenza n. 76 in  data  22  febbraio  2010,
depositata in data il 26  febbraio  2010,  emessa  dalla  Commissione
tributaria provinciale di Milano  Sez.  3  -  Rimborso  IRES  -  anno
d'imposta 2004, 2005 e 2006, con richiesta di dubbi  di  legittimita'
costituzionalita'  della  indeducibilita'  dell'IRAP  dall'imponibile
IRES - sfavorevole al contribuente. 
    Visto il ricorso in appello; 
    Visti gli atti tutti di causa; 
    Udito, nella pubblica udienza  del  giorno  7  ottobre  2011,  il
relatore Dott. Vaifro Piacentini. Udito, per la societa'  appellante,
il Dottor Verna Giuseppe; 
    Udito, per l'Agenzia appellata, il dott. Fabio Bopri; 
 
                  Fatto e svolgimento del processo 
 
    1. - Con domanda presentata il 26 novembre 2008  la  Meliorfactor
spa di Milano chiedeva all'Agenzia  delle  entrate  di  Milano  1  il
rimborso di IRES per € 51.554, pagata per i periodi d'imposta 2004  -
2006. Sosteneva la Societa' che  detto  importo  non  era  dovuto  in
quanto, prima, aveva dedotto interamente  il  costo  del  lavoro  dal
reddito d'impresa e, poi, lo aveva  dovuto  riprendere  a  tassazione
nella  misura  del  5,25%  a  causa  dell'indeducibilita'  dell'IRAP,
disposta  dall'art.  1,  comma  2,  d.lgs.  n.  446  del  1997.  Tale
indeducibilita', secondo la circostanziata esposizione  dell'istante.
doveva ritenersi in contrasto  con  i  principi  di  uguaglianza,  di
capacita' contributiva e di  tutela  del  lavoro  e  quindi  con  gli
articoli 3, 53 e 35 Cost. 
    2.  -  A   seguito   del   silenzio-rifiuto   alla   restituzione
dell'imposta, frapposto dall'Agenzia delle entrate, il 20 marzo  2009
la Meliofactor presentava ricorso  alla  Commissione  provinciale  di
h/filano,  sviluppando  gli  stessi  motivi  esposti  nella   domanda
avanzata in via amministrativa; concludeva chiedendo il  rimborso  di
€ 51.554 oltre interessi, «previa rimessione degli  atti  alla  Corte
costituzionale  ed  accoglimento  del  dubbio  di   costituzionalita'
dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446/1997 per contrasto con gli  artt.
3, comma 1 e 53, comma 1, Cost., nella misura in cui la  norma  porti
alla parziale indeducibilita' di costi che sono invece deducibili  ai
fini dell'imposta personale sul reddito d'impresa, nonche' con l'art.
35 Cost., nella misura  in  cui  la  norma  costituisca  un  ostacolo
all'impiego del lavoro quale fattore di produzione». 
    Nell'atto di  costituzione  in  giudizio  del  18  novembre  2009
l'Agenzia resistente, senza contestare i dati numerici indicati dalla
ricorrente,  spiegava  le  modalita'  per  richiedere   il   rimborso
dell'IRES calcolata sul 10% dell'IRAP pagata per gli anni  2004-2006,
in ottemperanza all'art. 6 d.l. 29 novembre 2008, n. 185,  conv.  con
legge 28 gennaio  2009,  n.  2,  ed  affermava  che  l'unico  effetto
dell'istanza di rimborso, presentata dal ricorrente  il  28  novembre
2008, era «quello di fissare a tale data il termine di 48 mesi  utili
per richiedere il rimborso ai sensi dell'art. 38 d.P.R. n. 602/73». 
    La Meliofactor con memoria del 28 gennaio 2010 affermava  che  la
nuova norma non aveva sopito i dubbi di costituzionalita'  in  quanto
il criterio forfetario di deduzione in tanto  poteva  essere  ammesso
quale espressione di discrezionalita' del legislatore, in  quanto  il
forfait adottato non si fosse discostato in  misura  rilevante  dalla
realta' che si  voleva  rappresentare.  Ribadiva  quindi  la  domanda
presentata nel ricorso,  dato  che  il  dubbio  di  costituzionalita'
dell'art. 1, comma 2, d.lgs. n. 446/1997, era rimasto anche  dopo  la
parziale modifica introdotta con il d.l. n. 185. 
    3.  -  La  Commissione   provinciale   respingeva   il   ricorso,
condannando la Meliofactor al pagamento delle spese  di  soccombenza,
liquidate in € 2000, sulla base di cinque motivi. 
    Per maggiore chiarezza di esposizione, i suddetti motivi sono qui
indicati ponendo di  seguito,  in  sintesi,  le  contestazioni  mosse
nell'appello. 
    I. «La questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,
comma 2, d.lgs. n. 446/97,  sollevata  nel  ricorso,  deve  ritenersi
superata per effetto della novella normativa introdotta con l'art. 6,
d.l. n. 185/08» 
    Secondo la Meliorfactor la deduzione forfetaria,  successivamente
disposta  dal  legislatore,  e'  disposizione  anch'essa  di   dubbia
costituzionalita'  che  da'  luogo  ad  un  rimborso  inferiore  alla
deduzione analitica. 
    II. «La Corte cost., in ragione dell'intervenuto mutamento  della
disciplina, ha disposto la restituzione degli atti  alle  Commissioni
Tributarie rimettenti, perche' operino una  nuova  valutazione  della
rilevanza e della non manifesta infondatezza della questione». 
    Osserva l'appellante che e' prassi della Corte costituzionale, in
presenza di una norma sopravvenuta, rimettere  gli  atti  ai  giudici
rimettenti  per  una  nuova  valutazione  ed  una   eventuale   nuova
trasmissione a se stessa, salvo che la questione  sia  manifestamente
infondata, nel qual caso dichiara subito tale infondatezza. 
    III. «I dubbi proposti dal ricorrente con riferimento al d.l.  n.
185/2008 integrano una questione  nuova  e  diversa,  e  le  relative
doglianze costituiscono nuovi motivi di ricorso, la cui  proposizione
non  e'  consentita  dalla   vigente   disciplina   del   contenzioso
tributario». 
    Osserva la Meliofactor che le  modifiche  apportate  dalla  nuova
legge sono invocate dal Giudice per dare torto  al  contribuente,  ma
assurdamente questi non potrebbe censurarle sul piano  costituzionale
perche' cosi' facendo introdurrebbe una domanda nuova. 
    IV.    «Secondo    costante     giurisprudenza     costituzionale
individuazione degli oneri deducibili e dei singoli fatti  espressivi
della capacita'  contributiva,  nonche'  la  definizione  del  regime
giuridico   tributario   del   fatto   assunto    come    presupposto
dell'imposizione rientrano nella discrezionalita' del legislatore». 
    Ribatte la  Meliofactor  che  «mai  la  Corte  costituzionale  ha
affermato  che,  nella  determinazione  del  reddito  imponibile,  il
legislatore puo' non  riconoscere  la  deducibilita'  di  un  fattore
essenziale per la produzione del reddito stesso, salva la  necessita'
di evitare possibili evasioni fiscali o la deduzione di  spese  anche
solo in parte non inerenti, cosa che non si verifica per il costo del
lavoro.». 
    V.  «Il  criterio  della  deducibilita'   riconosciuta   in   via
forfettaria non puo' ritenersi ne' irragionevole, ne' suscettibile di
dare adito a disparita' di trattamento». 
    L'appellante cita quattro  pronunce  della  Corte  costituzionale
secondo cui la determinazione forfettaria e' legittima, ma deve avere
un collegamento sufficientemente rappresentativo con la  realta'  che
con il forfait si vuole rappresentare. 
    L'Agenzia,  costituitasi  in  questo  grado   di   giudizio,   ha
incentrato la sua replica principalmente  su  tre  argomenti:  I)  la
Corte costituzionale ha gia' dichiarato  infondato  i  dubbi  con  le
ordinanze n. 258 del luglio 2009 e n. 242 dell'agosto  2010;  II)  il
legislatore gode di' ampia discrezionalita' nel determinare  i  costi
deducibili; III) le imposte sono di  norma  sempre  indeducibili.  Ha
chiesto quindi che la domanda fosse dichiarata infondata con vittoria
di spese. 
    Ha ribattuto l'appellante che le due ordinanze  hanno  dichiarato
inammissibili e non infondati i dubbi di costituzionalita' in  quanto
i giudici rimettenti non avevano esaminato se i dubbi persistevano  o
no  dopo  l'entrata  in  vigore  del  rimborso  forfettario;  che  la
discrezionalita'  del  legislatore  e'  ampia   nell'individuare   il
presupposto  d'imposta,   meno   ampia   nell'individuare   i   costi
indeducibili una volta che ha  stabilito  quale  sia  il  presupposto
d'imposta; che tutte le imposte, che non gravino sul  reddito  o  che
non ne sia prevista la rivalsa, sono deducibili  ai  sensi  dell'art.
99, comma 1, del testo unico. 
    Concludeva  l'appellante  con  un'ampia   memoria   illustrativa,
allegando sei  ordinanze  di  Commissioni  tributarie  che  si  erano
pronunciate sugli stessi dubbi di costituzionalita' qui  sollevati  e
che avevano rimesso gli atti alla  Corte  costituzionale  ritenendoli
non manifestamente infondati e rilevanti nel caso di specie. 
    Nell'udienza di discussione, dopo l'esposizione del relatore,  le
Parti hanno ribadito le rispettive tesi. 
 
                       Motivi della decisione 
 
    1. - Merita innanzi tutto affrontare  una  possibile  preclusione
all'esame  completo  dei   dubbi   di   costituzionalita'   sollevati
dall'appellante. Pur ritenendo che i dubbi di costituzionalita' della
norma che dichiara l'IRAP indeducibile sia nella sua  interezza,  sia
limitatamente alla quota che colpisce le  spese  per  prestazioni  di
lavoro  (e,  con  riferimento,  ad  altre  societa',  gli   interessi
passivi), possono essere sollevati anche  dopo  l'entrata  in  vigore
dell'art. 6, d.l. n. 185/2008,  che  ha  solo  attenuato  la  portata
dell'indeducibilita', lasciando  inalterati  gli  eventuali  vizi  di
legittimita' dell'art. 1, d.lgs. n. 546/1997, non c'e' dubbio che  il
giudice, davanti al quale tali  dubbi  siano  stati  sollevati,  deve
farsi carico di prendere in esame tutte le norme che disciplinano  il
caso   rilevando,   anche   autonomamente,   eventuali    dubbi    di
costituzionalita'  (o  preclusioni),  al  di  la'   delle   ristrette
prospettazioni delle parti litiganti. 
    La critica mossa dalla Meliorfactor alla nuova norma di deduzione
forfetaria  non  costituisce  domanda  nuova,  giacche'  la   domanda
originaria non e' stata scalfita nel quantum e nella causa;  comunque
tale critica puo' essere esaminata dal giudice  indipendentemente  da
una richiesta di parte. 
    2. - Occorre anche, almeno in parte, prescindere dalla  richiesta
dell'appellante,  secondo  cui  l'esistenza  di  sei   ordinanze   di
rimessione   alla   Corte   sulla    non    manifesta    infondatezza
dell'indeducibilita' dell'IRAP dall'imponibile IRES  -  limitatamente
alle spese per prestazioni di lavoro (e quindi non solo al mero costo
di lavoro dipendente) e (tema in questa vertenza non rilevante)  agli
interessi passivi al netto di  quelli  attivi,  sorretta  da  copiosa
dottrina -costituirebbe per se' oggettivamente situazione sufficiente
per ritenere i dubbi non manifestamente infondati. 
    Pur condividendo in larga  misura  le  argomentazioni  sviluppate
dalle sei ordinanze, che affrontano gli stessi temi  dibattuti  nella
presente causa, e dalla dottrina citata dall'appellante sui dubbi  di
costituzionalita' dell'art. 1, comma 2,  d.lgs.  n.  546/1997,  anche
dopo l'introduzione dell'art. 6, d.l. n. 185/2008, che ne ha limitato
la portata, questo Giudice ritiene, essendo soggetto solo alla legge,
di dovere compiere un'analisi autonoma  della  disciplina  alla  luce
degli invocati articoli della Costituzione. 
    3.  -  Prima  di  vagliare  i  dubbi  di  costituzionalita'   con
riferimento agli articoli 3, 53 e 35 Cost., questo Giudice deve farsi
carico, anche in relazione a temi emersi nel contraddittorio  fra  le
Parti ed esaminati dal Giudice di prima istanza,  di  affrontare  tre
questioni. 
    La prima questione verte sulla discrezionalita'  del  legislatore
nel determinare quali costi debbano  essere  deducibili  dal  reddito
d'impresa e, in generale, quali debbano essere i componenti attivi  o
passivi di un determinato imponibile. 
    Occorre qui distinguere due fattispecie: quella  dell'istituzione
di  nuovi  tributi  e  quella  della  determinazione  dei  componenti
positivi e negativi  di  tributi  una  volta  che  essi  siano  stati
istituiti. 
    Nella  prima   fattispecie   il   legislatore   gode   di   ampia
discrezionalita' nella determinazione dei singoli fatti espressivi di
capacita' contributiva, elevati a presupposto del tributo,  col  solo
limite  di  non  sconfinare  nell'arbitrio  e  nell'irragionevolezza.
Tuttavia nel caso di specie non si contesta il presupposto istitutivo
ne' dell'IRAP, ne' dell'IRES. 
    Nella seconda fattispecie -  determinazione  degli  elementi  che
concorrono alla formazione della base imponibile di un'imposta di cui
sia stato gia' indicato il  presupposto  -  la  discrezionalita'  del
legislatore  soffre  vincoli  maggiori.  Egli  deve  non   solo   non
sconfinare nell'arbitrio o nell'irragionevolezza, ma anche rispettare
i limiti impostigli dal «presupposto d'imposta», pena  la  violazione
del  principio  di  capacita'  contributiva.  In  altre   parole   il
legislatore, una volta stabilito che determinati fatti economici sono
rivelatori di capacita' contributiva e qualificato i  medesimi  quali
«presupposto  d'imposta»,  peccherebbe  di  incoerenza  e  quindi  di
arbitrarieta' se, sconfessando se stesso, imponesse la costruzione di
una base imponibile che  si  ponesse  in  contrasto  col  presupposto
d'imposta da lui stesso stabilito. 
    Per scendere nel caso concreto che qui interessa, il  legislatore
non  e'  del  tutto  libero  nel  determinare  quali  siano  i  costi
deducibili dall'imponibile IRES,  in  quanto  l'art.  72,  d.lgs.  n.
917/86, stabilisce che presupposto  dell'imposta  sul  reddito  delle
societa' e' il possesso  di  un  reddito,  piu'  precisamente  di  un
«reddito complessivo netto» (art. 75, comma 1). Ne consegue  che  ,la
tassazione (totale o parziale) dei fattori di produzione  «costi  del
lavoro e dei capitali presi a mutuo» puo' essere consentita nel  caso
dell'IRAP, ma non dell'IRES, rilevando  negativamente  il  fatto  che
nella determinazione dell'imponibile IRES tali costi  sono  in  prima
battuta deducibili per intero  e  poi,  attraverso  l'indeducibilita'
dell'IRAP, ripresi parzialmente a tassazione. 
    Pertanto il legislatore, una volta individuato nell'esercizio dei
suoi  poteri  discrezionali,  senz'arbitrio  e  irragionevolezza,  il
presupposto del tributo quale espressione di capacita'  contributiva,
non puo' smentirsi e quindi travalicare il limite che egli stesso  si
e' posto. 
    Il legislatore, tuttavia, ha indubbiamente il potere di escludere
dalla deduzione alcuni  componenti  negativi  di  reddito  effettivo;
l'indeducibilita', totale o parziale, puo' pero' essere sancita  solo
nei  confronti  di  costi  che  presentino  elementi  di   incertezza
nell'inerenza o  nella  determinazione  oppure  fondati  pericoli  di
coprire l'elusione o l'evasione o quando il loro sostenimento non  e'
coerente con meritevoli interessi di politica economica. Non puo' mai
essere, quindi, dichiarato  indeducibile,  neanche  parzialmente,  il
costo di un fattore ordinario certo ed essenziale per  la  produzione
del reddito, quali sono le spese per prestazioni di lavoro,  pena  la
violazione (almeno) del principio di capacita' contributiva,  dovendo
sempre sussistere  una  ragione,  ovvero  un  rapporto,  fra  novella
ricchezza e  prelievo  impositivo:  pertanto,  ai  fini  dell'imposta
personale, puo' e deve essere colpito solo  il  reddito  che  sia  al
netto  di  tutti  i  costi  certi  ed  ordinari  relativi  alla   sua
produzione. 
    4. -  La  seconda  questione  verte  sulla  discrezionalita'  del
legislatore, una volta che  ha  individuato  i  componenti  attivi  e
passivi  di  un  imponibile,  di  stabilirne  la  tassazione   o   la
deducibilita' in via forfetaria. 
    L'art. 6, d.l. n. 185, ha stabilito che «e' ammesso in  deduzione
...  un  importo  pari  al  10%  dell'IRAP  forfetariamente  riferita
all'imposta dovuta sulla quota imponibile degli interessi  passivi  e
degli oneri assimilati  ...  ovvero  delle  spese  per  il  personale
dipendente e assimilato». 
    Il legislatore ordinario, quindi, di fronte ai manifestati  dubbi
di costituzionalita' sull'indeducibilita'  dell'IRAP,  ha  introdotto
una norma che  si  prefigge  la  deduzione  forfettaria  dal  reddito
dell'IRAP pagata sui costi di lavoro  dipendente  e  sugli  interessi
passivi. 
    La Consulta ha affermato che le presunzioni tributarie  non  sono
affette da «illegittimita' costituzionale, purche' si fondino su  ...
fatti  reali,  quand'anche  difficilmente   accertabili,   idonei   a
conferire all'imposizione una base non fittizia» (sentenza  26  marzo
1980, n. 42), e che esse,  «intanto  possono  legittimamente  operare
quali rivelatrici di ricchezza in quanto restino collegate in qualche
modo a elementi concreti di redditivita' ancorche'  di  non  semplice
accertamento. In altri termini, l'applicazione  del  tributo  che  ne
deriva non puo' riposare su basi del tutto incontrollabili per i fini
che si ripropongono, quando non addirittura fittizie» (sent. 11 marzo
1991,  n.  103),  giacche'  «le  presunzioni,   per   potere   essere
considerate in armonia col  principio  della  capacita'  contributiva
sancito dall'art. 53 della Costituzione, debbono essere confortate da
elementi concreti  che  le  giustifichino  razionalmente»  (sent.  28
luglio 1976, n. 200), soprattutto quando la presunzione e' assoluta e
non ammette quindi prova contraria. 
    La forfetizzazione dei costi, quindi, puo' essere  uno  strumento
per consentire al fisco e al contribuente di accertarli con  maggiore
correttezza e facilita', nel rispetto del principio di  certezza  del
diritto. Si deduce quindi che la  determinazione  forfettaria  di  un
reddito  imponibile  o  di  un  costo  deducibile  non  consente   al
legislatore  di  allontanarsi  in  misura  rilevante  dalla   realta'
reddituale. 
    La  deduzione  dall'imponibile  IRES  del   10%   pagata,   quale
alternativa alla deduzione del 5,25% delle spese per  prestazioni  di
lavoro, non fondandosi su alcun  collegamento  aritmetico  o  logico,
diretto o  indiretto,  sia  pur  vago,  fra  deduzione  forfetaria  e
deduzione analitica, non vale a dissipare i suddetti dubbi,  ma  anzi
fa  cadere  in  sospetto  di  incostituzionalita'  anche   la   norma
sopravvenuta. 
    Concludendo sul punto, il forfait operato dal legislatore,  anche
prescindendo  dai  limiti  quantitativi,  pare  arbitrario,  mancando
qualsiasi collegamento con la realta' che si vuole forfetizzare. 
    5. - La terza questione che deve essere  affrontata  concerne  la
deducibilita' di imposte da altre imposte. 
    Il  principio  generale  dell'indeducibilita',  affermato   dalla
Finanza, e' esatto, ma solo per le imposte sul reddito e per le quali
e' prevista la rivalsa (art. 99, comma 1, tuir); non riguarda  quindi
l'IRAP che, come insegna la Corte costituzionale (sent. n. 156/2001),
non e' un'imposta sul reddito. Ed infatti, senza l'art. 1 del  d.lgs.
n.  446  e  l'art.  6  del  d.l.  n.  185,   che   hanno   l'effetto,
rispettivamente,  di  escludere  e  di  limitare   la   deducibilita'
dell'IRAP  dal  reddito  d'impresa,  l'IRAP  sarebbe  deducibile  col
criterio di cassa. 
    A tale rilevo,  gia'  evidenziato  dall'appellante,  si  aggiunge
un'ulteriore considerazione. A ben vedere  il  tema  dibattuto  -  in
sostanza,  e  quindi  sotto  l'aspetto  che  piu'  rileva  sul  piano
costituzionale - non e' la deduzione di una quota di IRAP dal reddito
d'impresa, ma di una quota delle spese per prestazioni di lavoro, per
cui il problema dell'indeducibilita' delle  imposte  quale  principio
generale del nostro sistema si  rivela,  in  questo  caso,  un  falso
problema. 
    6. - Risolte le questioni sopra esposte e  quindi  eliminati  gli
ostacoli posti  assiomaticamente  alla  prospettazione  di  dubbi  di
costituzionalita'  sulla  indeducibilita'  dell'IRAP  per  la   quota
afferente  le  spese  per  prestazioni  di  lavoro,  o  meglio   alla
deducibilita'  dal  reddito  d'impresa  di  tali  spese  nella   loro
interezza e non solo nella misura del 94.75%, occorre convenire sulla
non manifesta infondatezza dei dubbi su  accennati,  sollevati  dalla
Meliorfactor, che questo giudice fa propri. 
    6.1. Principio di capacita' contributiva. 
    L'art. 53 stabilisce che il concorso  dei  cittadini  alle  spese
erariali  deve   avvenire   «in   ragione»   della   loro   capacita'
contributiva;  occorre  cioe'  che  sussista  una  «ragione»   o   un
«rapporto» fra ricchezza, in qualsiasi forma  delineata,  ed  entita'
dell'imposta. La capacita' contributiva colpita dalle varie  imposte,
pur non assumendo univoco valore in ciascuna legge  impositiva,  deve
essere  obiettivamente  valutabile  e   determinata   attraverso   la
fissazione del c.d.  presupposto  d'imposta.  Orbene  il  presupposto
dell'IRES e' il possesso di un reddito netto (art. 75, comma 1),  ma,
a causa dell'indeducibilita' dell'IRAP, netto non e', in quanto viene
aumentato del 5,25%  (4,9%  dal  2008),  calcolato  su  un  rilevante
fattore della produzione: le spese per prestazioni di lavoro (art. 95
tuir). Tale fattore diventa pertanto deducibile solo nella misura del
94,75% (95,10% a partire dal 2008). 
    L'aumento della base imponibile del reddito d'impresa, in  misura
pari all'IRAP indeducibile sulle spese  per  prestazione  di  lavoro,
provoca  l'imposizione  di   una   novella   ricchezza   parzialmente
inesistente  per  l'aggiunta  dell'imposta  calcolata  sul   suddetto
componente negativo di reddito. Cio' non e' consentito in  quanto  il
legislatore, avendo fissato quale presupposto dell'imposta  personale
il possesso di un reddito netto, non puo' smentirsi e,  disattendendo
la ratio del tributo senza un'apprezzabile  giustificazione,  colpire
con quell'imposta un reddito maggiore. 
    6.2 Principio di uguaglianza. 
    A parita' di reddito imponibile, il diverso  peso  dell'IRES  fra
due  imprese  deve  avere  una  causa  ragionevole,   altrimenti   la
diversita' diventa irrazionale. In  conseguenza  dell'indeducibilita'
dell'IRAP, un'impresa, a parita'  di  reddito  imponibile  con  altre
imprese, e' colpita dall'IRES piu' di quelle, se, nella  composizione
del suo reddito,  le  spese  per  prestazioni  di  lavoro  (oltre  ai
capitali presi a mutuo) concorrono in misura maggiore che  in  altre;
cio' non trova una giustificazione plausibile,  ne'  nelle  norme  di
legge, ne' nei principi dell'economia,  ne'  in  finalita'  politiche
incentivanti o disincentivanti. 
    Oltretutto e' irrazionale prima dedurre un costo al  100%  e  poi
aggiungervi il 5,25 (o il 4,9) per cento. 
    6.3 Principio di tutela del lavoro. 
    L'indeducibilita' dell'IRAP si traduce  nella  deducibilita'  del
costo del lavoro limitata al  95,75%  (successivamente  al  96,1%)  e
quindi in una penalizzazione nel ricorso al «lavoro» quale fattore di
produzione.  E'  evidente,  infatti,  che  nelle  imprese  libere  di
scegliere fra l'impiego di mano d'opera o di robots la  deducibilita'
del costo del lavoro nella misura del 94,75% fungera' da disincentivo
rispetto all'alternativa di una robotizzazione che  comporterebbe  il
sostenimento  di  costi  deducibili  al  100%  attraverso  quote   di
ammortamento delle immobilizzazioni acquistate. 
    7. - Lo scioglimento dei dubbi di costituzionalita'  si  presenta
rilevante nella presente causa in  quanto,  secondo  quanto  indicato
dalla Meliorfactor e non contestato dall'Agenzia, in caso di rimborso
analitico del 33% del 5,25% delle spese per  prestazioni  di  lavoro,
pagato negli anni  2004-2006,  l'importo  da  rimborsare  ascende  ad
€ 51.544,  mentre  in  caso  di  rimborso  forfetario  ai  sensi  del
menzionato art. 6, d.l. n. 185, ad € 23.504. 
    E' evidente quindi che lo scioglimento dei dubbi e' pregiudiziale
per l'accoglimento della domanda giudiziale. 
    Alla  luce  delle  considerazioni  su  esposte,  questo  Collegio
ritiene che la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
comma 2, d.lgs. 15 dicembre 1997,  n.  446,  parzialmente  modificato
dall'art. 6, d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito  in  legge  28
gennaio 2009, n. 2, per contrasto con gli articoli 3, 53 e 35  Cost.,
non  sia  manifestamente  infondata  sia  rilevante  ai  fini   della
decisione della presente e anche dopo l'entrata in vigore dell'art. 6
del d.l. 28 novembre 2008, n. 185, convertito in legge n.  2  del  28
gennaio 2009.